Criptovalute e dichiarazioni dei redditi. Vanno sempre dichiarate?

Storicamente, l’innovazione corre più veloce della legge. Per questo motivo ad oggi le criptovalute non hanno un inquadramento ben definito all’interno del nostro panorama legislativo. Chi le considera un bene immateriale, chi una valuta estera e chi invece un bene merce. Le opinioni sono tante ma, purtroppo o per fortuna, le legge è una sola. Cerchiamo di approfondire lo stato dell’arte della questione, per comprendere se e in quali casi le criptovalute devono essere inserite in dichiarazione dei redditi.



Cominciamo con una premessa. Da una recente risposta dell’Agenzia Entrate ad un interpello (n.788/2021) sembra che le criptovalute debbano sempre essere inserite in dichiarazione dei redditi. Dove? All’interno del quadro RW. Il quadro RW della dichiarazione dei redditi costituisce il prospetto di riferimento per il contribuente che deve adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale. In base a tale norma, le persone fisiche residenti in Italia devono indicare in dichiarazione dei redditi gli investimenti all’estero o le attività estere di natura finanziaria che detengono oltre confine.

Criptovalute e dichiarazioni dei redditi. Vanno sempre dichiarate?

17/09/2025

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5 minuti di lettura

Studio Brega

Criptovalute e monitoraggio fiscale in dichiarazione dei redditi

Quando però la legge parla di investimenti all’estero, a cosa si riferisce di preciso? Facciamo qualche esempio:

  • gli immobili situati all’estero o i connessi diritti reali immobiliari (ad esempio, usufrutto o nuda proprietà);
  • gli oggetti preziosi e le opere d’arte che si trovano fuori del territorio dello Stato;
  • e imbarcazioni altri beni mobili detenuti all’estero e/o iscritti nei pubblici registri esteri.

Si considerano invece “attività estere di natura finanziaria”:

  • attività i cui redditi sono corrisposti da soggetti non residenti. Ad esempio: partecipazioni al capitale di società estere, obbligazioni estere, titoli pubblici italiani e titoli equiparati emessi all’estero; valute estere, depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero;
  • contratti di natura finanziaria stipulati con controparti non residenti tra cui: finanziamenti, riporti, pronti contro termine e prestito titoli;
  • polizze di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione stipulate con compagnie di assicurazione estere;
  • contratti derivati e altri rapporti finanziari stipulati al di fuori del territorio dello Stato;
  • metalli preziosi detenuti all’estero;
  • diritti all’acquisto o alla sottoscrizione di azioni estere o strumenti finanziari assimilati;
  • forme di previdenza complementare gestite da società ed enti di diritto estero;
  • attività finanziarie italiane comunque detenute all’estero.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria devono essere sempre indicati nel quadro RW. Tale indicazione deve essere inserita indipendentemente dal fatto che siano suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. E le criptovalute?
L’Agenzia delle Entrate ha affermato in più occasioni la necessità di indicarle nel quadro RW. E’ importante ricordare ai lettori che l’inserimento in tale quadro è obbligatorio ai soli fini del monitoraggio fiscale, non della tassazione. Le criptovalute infatti, a differenza di altre attività finanziarie, non sono soggette ad Ivafe (l’imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero). Il monitoraggio fiscale è un adempimento obbligatorio a cui sono chiamati tutti i contribuenti fiscalmente residenti in Italia. Si tratta di una legge introdotta nel 1990 per permettere all’Agenzia di monitorare le attività estera di natura finanziaria detenute dai residenti del nostro paese.

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È sempre obbligatorio dichiarare il possesso di criptovalute?

Le criptovalute sono considerate alla stregua di “attività estere di natura finanziaria”. Di conseguenza sono applicabili alle criptovalute gli stessi obblighi previsti dalle attività finanziarie estere sopracitate. Ricapitolando:

  • È sempre obbligatorio indicare le criptovalute in dichiarazione dei redditi nel quadro RW, indipendentemente dalla modalità di custodia e dal luogo di localizzazione del wallet o della chiave privata;
  • È sempre obbligatorio indicare le criptovalute in dichiarazione dei redditi nel quadro RW anche se sono “detenute all’estero per il tramite di soggetti localizzati in paesi diversi da quelli collaborativi nonché in entità giuridiche italiane o estere, qualora il contribuente risulti essere ‘titolare effettivo’”. In altre parole, anche se sono detenute tramite exchange (ad esempio Binance, Crypto.com,…).

A questo punto una domanda sorge spontanea. Come fanno le criptovalute ad essere legate ad un paese straniero, trattandosi di asset che non stazionano su conti correnti di nessun ente o nazione estera, bensì sulla blockchain? Dall’interpretazione di una pronuncia del 2018 l’Agenzia delle Entrate si configuravano due diverse ipotesi:

  • la prima in cui il contribuente è in possesso della chiave privata;
  • la seconda in cui il contribuente non sia in possesso della chiave privata ma si avvalga dei cosiddetti custodial wallet. In altre parole, sfrutti i servizi offerti dagli exchange di cripotvalute (Coinbase, Binance, Crypto.com,…)

Criptovalute in dichiarazione dei redditi: conta il possesso della chiave privata?

Secondo l’interpretazione sopracitata l’obbligo di indicazione nel quadro RW non sussisterebbe ogni qualvolta la persona fisica avesse la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute (fonte: NT+ fisco). In poche parole: contribuente residente + possesso chiave privata = nessuna indicazione. Stessa sorte avrebbe il contribuente che, nonostante sia privo della disponibilità della chiave privata, si avvalesse di custodial wallet di soggetti residenti in Italia; anche in questo caso, sarebbe rispettato il principio di territorialità.



Distinguere ufficialmente le criptovalute “italiane” da quelle “straniere” potrebbe apparire sensata, ma non secondo il legislatore. Se fosse mantenuta questa distinzione sarebbe ostacolato il fisco che tramite il monitoraggio tenta di scandagliare ogni tipo di attività detenute oltreconfine. Sotto qualsiasi forma. Inoltre, comporterebbe problematiche applicative, posto che ogniqualvolta le criptovalute fossero trasferite in un custodial wallet, dovrebbero comparire nel quadro RW del contribuente anche se fossero ritrasferite verso un wallet privato solo pochi giorni dopo. (Fonte: “Le criptovalute nel quadro RW”, Francesco Avella).



Distinzioni basate sul luogo di localizzazione dell’ente proprietario dei custodial wallet (ovvero l’exchange di turno) potrebbero peraltro incidere in modo improprio su altri aspetti della normativa. Potrebbero in particolare portare a distinguere tra exchange localizzati nei paesi black list e altri in paesi non black list. Ciò avrebbe conseguenze di non poco conto in merito alle sanzioni che colpirebbero i contribuenti in caso di mancata compilazione del quadro RW. La Legge infatti “stabilisce che la violazione dell’obbligo dichiarativo è punita con la sanzione dal 3 al 15% degli importi non indicati, penalità raddoppiata nel caso le attività siano detenute nei Paesi black list“. Applicare le sanzioni raddoppiate non farebbe altro che legare le criptovalute in maniera tanto incisiva quanto scorretta ad un determinato territorio; per questo appare piuttosto forzata.




Proprio l’assenza di un legame territoriale e l’irrilevanza dell’ exchange presso il quale sono custodite, implicano la non applicabilità delle norme preposte al contrasto della detenzione di asset in paesi black list.

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